venerdì 19 Aprile 2024

Il guadagno unitario

Introduzione

Questa monografia si occupa delle trappole, spesso piuttosto subdole, dovute all’incapacità dell’industria di definire bene e di precisare in uno standard il significato dell’espressione “guadagno unitario” e anche le condizioni che sono necessarie per misurarlo correttamente. Inoltre, si occupa di come, solitamente, si utilizzi in modo improprio l’adattamento d’impedenza per correggere questa lacuna. Così facendo, senza conoscere le discrepanze che esistono tra le differenti parti di un apparato e senza sapere che l’adattamento d’impedenza non è affatto necessario, il segnale degrada in modo disastroso. Ciò coinvolge, necessariamente, anche le condizioni che vengono utilizzate per stabilire il guadagno unitario. Anche la tendenza dei costruttori a includere nei comandi di regolazione del livello delle loro apparecchiature degli “scattini” o dei punti di indicazione del guadagno unitario ha aggravato non poco le cose. Una volta compreso tutto questo, la soluzione diventa facile e si vedrà che non coinvolge per nulla il concetto di adattamento d’impedenza.

Guadagno unitario non sempre significa “uno”

Cominciamo cercando di comprendere il concetto di guadagno unitario. È abbastanza facile, direte. Chiedete a tutti, ed essi vi risponderanno che “guadagno unitario” significa che se io metto, diciamo, 1V in ingresso, otterrò 1V in uscita, cioè un guadagno uno, quindi unitario. Nulla di più facile, apparentemente. Fino a quando non si faccia la seguente domanda: “Quel guadagno unitario è bilanciato o sbilanciato?”. E qui nasce il problema. Al giorno d’oggi molti apparati audio professionali, forse la maggior parte, presentano una differenza di 6dB nel guadagno tra uscite sbilanciate e quelle bilanciate (un’eccezione è rappresentata da quelle apparecchiature con stadi di uscita a trasformatore, oppure cross-coupled). Questa differenza del doppio deriva dal pilotaggio differenziale della linea. La figura successiva mostra come un segnale di ingresso piloti un ramo della linea con la semionda positiva e l’altro con la semionda negativa. Ciascun amplificatore che pilota uno dei rami ha un guadagno uno, ma insieme essi raggiungono un guadagno due.

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Per esempio, un segnale di ingresso di +1V di picco in AC pilota un ramo a +1V e contemporaneamente l’altro a -1V. Questo rappresenta un livello di uscita bilanciato di +2V di picco (la differenza tra +1V e -1V). Oppure, questo stesso segnale di ingresso pilota una linea sbilanciata a +1V di picco. Dunque, c’è una differenza di 6dB tra un’uscita sbilanciata e una bilanciata, un fattore differenza di guadagno di due. È ovvio che, in questo caso, “unitario” equivale a dire due. Questo ci porta a esaminare la parte del discorso che riguarda l’assenza di uno standard. Senza uno standard che stabilisca le condizioni necessarie per definire il guadagno unitario, i costruttori prendono decisioni autonome sul significato di questo termine. Per alcuni esso significa che 1V in ingresso dà 1V in uscita sbilanciato, e 2V bilanciato. Per altri significa che 1V in ingresso dà 1V in uscita bilanciato e ½V sbilanciato. Per altri ancora significa che 1V in ingresso dà 1V in uscita (usando i trasformatori) o 2V (usando stadi cross-coupled), sia bilanciato che sbilanciato. Tutto questo comporta senza dubbio molta confusione.
La figura successiva mostra come ciò crei grossi problemi. Qui le differenti definizioni danno come risultato un guadagno di 12dB, pur con tutti i comandi impostati sul guadagno unitario.
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Adattamento d’impedenza
Il concetto di adattamento d’impedenza è nato agli albori dell’elettronica, insieme con le valvole. I moderni circuiti, che utilizzano transistor e amplificatori operazionali, non richiedono un adattamento d’impedenza. È bene sottolineare che l’adattamento d’impedenza degrada le prestazioni dell’audio. Le moderne unità allo stato solido trasferiscono dall’una all’altra la tensione, non la potenza. Il trasferimento ottimale della potenza richiede un adattamento dell’impedenza, quello della tensione no. Le apparecchiature moderne hanno alte impedenze di ingresso e basse impedenze di uscita. Esse sono perfettamente compatibili le une con le altre; stadi di uscita a bassa impedenza pilotano stadi di ingresso ad alta impedenza. In questo modo non c’è carico o perdita di segnale tra i vari stadi. Non ci si deve più interessare del trasferimento di potenza; le impedenze basse in uscita e alte in ingresso delle apparecchiature moderne consentono un trasferimento della tensione quasi privo di perdite. A questo punto ci si può chiedere cosa abbia a che fare l’adattamento d’impedenza con il guadagno unitario.
Infatti non dovrebbe averci nulla a che fare ma, a causa delle differenti definizioni di guadagno unitario considerate dai costruttori, esso rappresenta uno dei modi che sono utilizzati per correggere le differenze di guadagno tra le varie apparecchiature. Infatti, l’adattamento d’impedenza introduce un’attenuazione di 6dB tra le unità. Vediamo come.
Guardate la figura successiva. Qui si ha untipico interfacciamento, preso pari pari dal mondo reale, tra due unità.Le uscite positiva e negativa dell’unità pilota hanno un’impedenza di uscita indicata come ROUT. Ciascun ingresso ha un’impedenza indicata
come RIN. Tipicamente, esse hanno un valore di 100 Ω per ROUT e di 20KΩ per RIN.
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La Legge di Ohm ci dice che se 100 Ω pilotano 20KΩ (guardando per semplicità solo uno dei due rami), si crea un partitore di tensione, anche se molto piccolo (-0.04 dB). Questo conferma che si ha un trasferimento di tensione quasi perfetto, se non facciamo un adattamento d’impedenza. Se volete farlo a tutti i costi, perderete la metà del segnale.
Ecco come:
L’adattamento d’impedenza tra queste unità implica l’inserimento di resistenze di 100Ω (uguali a ROUT) su ciascun ingresso (in parallelo a RIN). La nuova impedenza d’ingresso ora diventa essenzialmente uguale all’impedenza di uscita (100Ω in parallelo con 20KΩ equivalgono a 99,5 Ω), dunque esse sono perfettamente adattate. Applicando ancora la Legge di Ohm a questo nuovo circuito si scopre che se 100Ω pilotano 100Ω si ha un partitore di tensione di ½. Vale a dire: metà del segnale di uscita scorre attraverso ROUT e metà attraverso RIN, per una caduta di tensione di 6dB. Dunque, la metà del segnale viene dispersa in calore attraverso ROUT. Non è una cosa molto buona, e inoltre non risolve il problema del guadagno unitario. Torniamo ora alla figura vista in precedenza.
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Adattando l’impedenza tra le unità A e B abbiamo introdotto un’attenuazione di 6 dB. Questo annulla il guadagno di 6dB risultante dall’uso, per questa unità, di uscite bilanciate. Ciò fa cambiare l’uscita dell’unità A in ± ½ V, o +1V bilanciato. Dato che l’unità B è già a guadagno unitario bilanciata, allora non facciamo un adattamento d’impedenza, e anche la sua uscita è di ± ½ V. Adattiamo l’impedenza dell’uscita dell’unità C e ora questa trasferisce il suo segnale a +1V all’uscita come ± 1/2V, e finalmente otteniamo un vero guadagno unitario come risultato di queste tre scatole. Un volt in ingresso produce un volt in uscita, bilanciato.
Alternativa preferita all’adattamento d’impedenza
L’alternativa preferita all’adattamento d’impedenza è veramente semplice: abbassare di 6dB il controllo del livello. Naturalmente questo significa che il segno del guadagno unitario o lo “scattino” del potenziometro dell’apparecchio perdono completamente il loro significato, ma questo è molto meglio che perdere la metà del segnale. Ci sono così tante altre variabili che richiedono di alzare o abbassare i controlli di livello, che questo diventa solo una parte del setting complessivo del guadagno di un’apparecchiatura. Inoltre, la maggior parte di esse garantisce abbastanza headroom da permettere senza alcun danno un incremento inaspettato di 6dB del guadagno. Allo stesso tempo, il segno sul potenziometro che indica il guadano unitario è solo un punto di riferimento. La sola ragione per la quale i costruttori vi forniscono dei controlli di livello è di permettervi le regolazioni di cui avete bisogno per vostro sistema. Se per loro fosse stato importante rimanere al guadagno unitario, questi controlli non sarebbero stati lì, quindi usateli.
Conclusioni
Guadagno unitario e adattamento d’impedenza: l’una risolve l’altro, ma in modo sbagliato. L’adattamento d’impedenza non è necessario e crea molti danni. Riduce i livelli del segnale e la dinamica di 6dB, e probabilmente anche il rapporto S/N della stessa quantità. Le grandi correnti che sono necessarie per pilotare una bassa impedenza generalmente peggiorano la distorsione armonica totale. Inoltre una corrente extra significa calore eccessivo e stress per l’alimentatore, creando un sistema potenzialmente inaffidabile. Semplicemente abbassando il livello (o alzandolo, se la situazione lo richiede), si ha la soluzione migliore per compensare le disparità nel guadagno unitario.
Appendice: capire gli stadi di uscita Cross-Coupled
Gli stadi di uscita Cross-Coupled sono disponibili da lungo tempo. La comprensione di tali stadi parte da questo concetto: il solo scopo della tecnica cross-coupling è di imitare un trasformatore di uscita in condizioni sbilanciate. Essa non offre alcun vantaggio in progetti convenzionali, quando viene utilizzata in modo bilanciato. Comprendere la circuiteria cross coupled comincia con la comprensione dei trasformatori di uscita.
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Nella figura precedente si può osservare una configurazione tipica. L’amplificatore di uscita pilota l’avvolgimento primario del trasformatore (con un ramo a massa) e il secondario è flottante (nessun riferimento con la massa), per produrre le parti positiva e negativa del segnale. Un trasformatore di uscita con un rapporto di trasformazione di 1:2 (normale) produce un segnale di uscita di 2V per un segnale in ingresso di 1V, cioè esiste una differenza di potenziale di 2V tra i due rami dell’uscita. L’immagine mostra come un segnale in ingresso di 1V di picco produca segnali di uscita di ±1V di picco (relativi alla massa), o un’uscita differenziale flottante di 2V di picco. In alternativa, due amplificatori operazionali potrebbero pilotare in maniera differenziale il primario e utilizzare un rapporto di trasformazione di 1:1 per avere gli stessi risultati. Così, 1V in ingresso produce 2 V in uscita, un guadagno di 6dB. Notate che, a causa del fatto che il segnale di uscita transita attraverso l’avvolgimento secondario, non ha importanza se un ramo sia o no messo a massa. Mettere a massa un ramo dà sempre la stessa uscita di 2V. Solo che questa volta è riferita alla massa e non è flottante. Non c’è dunque una variazione di guadagno tra operatività bilanciata e sbilanciata dei trasformatori di uscita. Questo contrasta in maniera evidente con lo stadio di uscita attivo della figura vista in precedenza.
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Qui mettendo a massa un ramo si riduce l’uscita da 2V a 1V. Sebbene ciò sia una riduzione di guadagno a sé stante, correggibile incrementando di 6dB il livello, essa infastidisce un po’. Di maggiore importanza è, invece, la perdita di 6dB per quanto riguarda l’headroom. Un aspetto positivo delle linee di interconnessione differenziali è la capacità di dare un livello di uscita più alto di 6dB con la medesima alimentazione. La maggior parte dei prodotti audio utilizza amplificatori operazionali che lavorano con alimentazioni di ±15V. Un singolo amplificatore operazionale pilota una linea sbilanciata con circa ±11V di picco (+20dBu). Usando due amplificatori operazionali per pilotare l’uscita in modo differenziale, si raddoppia fino a ±22V di picco (uno per il ramo positivo e l’altro per quello negativo), un valore che equivale a +26dBu. Dobbiamo inoltre considerare la potenziale distorsione, che dipende dagli amplificatori operazionali e dall’esatta configurazione, le oscillazioni e il deterioramento che derivano dall’aver chiesto a uno dei due rami di pilotare un corto circuito (il risultato di averlo messo a massa). Queste tre cose, perdita di guadagno di 6dB, perdita di headroom di 6dB e la discutibile pratica di far pilotare un corto circuito a un amplificatore operazionale, hanno spinto alla creazione degli stadi di uscita cross-coupled. Essi risolvono due aspetti su tre. Gli stadi di uscita cross-coupled fanno due cose che gli stadi di uscita differenziali attivi non fanno. Mantengono lo stesso guadagno sia in modalità bilanciata che sbilanciata e proteggono se stessi dal dover pilotare un corto circuito. Ma presentano ancora una perdita di headroom di 6dB. Un punto, questo, non ancora compreso da molti utilizzatori. Essi credono che gli stadi di uscita cross-coupled si comportino esattamente come dei trasformatori. Non è vero. Essi hanno gli stessi limiti, per quanto riguarda l’headroom, di tutti i progetti realizzati con operazionali che lavorano con alimentazioni di ±15V. (Alcune apparecchiature utilizzano ±18V, ma questo significa solo una differenza di 2dB per quelli sbilanciati). Il progetto originale della MCI appare nella figura successiva.
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La MCI utilizza due operazionali, collegati in modo tale che l’uscita opposta sia sottratta dal doppio del segnale di ingresso. In questo modo, il guadagno di ciascun ramo appare come il guadagno di uno per l’operatività bilanciata, cioè 1V in ingresso dà ±1V in uscita. Ancora, cortocircuitano un ramo (diventando sbilanciato) si ha un guadagno di due (niente da sottrarre). Dato che gli stadi d’uscita cross-coupled e quelli normali differenziali utilizzano essenzialmente gli stessi componenti (e dunque hanno lo stesso costo), una domanda interessante è: perché i primi non si vedono maggiormente? La risposta a questa domanda sta nel rischio di feedback positivo insito nel funzionamento degli stadi di uscita cross-coupled. Il processo di sottrazione creato dalle opposte uscite del cross-coupling ha uno sgradito effetto collaterale; a causa di ciò, l’adattamento dell’amplificatore operazionale, il rapporto di adattamento resistivo e la temperatura diventano critici. Se non opportunamente realizzati, gli stadi cross-coupled fanno andare in deriva l’alimentazione e alla fine possono provocare dei fenomeni di latch-up. Questo spiega perché si vedono tante varianti, con ogni sorta di fardelli aggiuntivi; cose come controreazione in AC ad accoppiamento capacitivo, resistenze di carico fisse, condensatori di taglio sulle alte frequenze, trimmer di offset, ecc. La difficoltà nel controllo di questi parametri nella produzione su vasta scala, induce la maggior parte dei produttori a rinunciare al loro utilizzo. Nel corso degli anni la Analog Devices ha cercato di risolvere la maggior parte dei problemi mettendo tutti questi elementi in un solo circuito integrato.

BIBLIOGRAFIA
Dennis Bohn, Rane Corporation RaneNote 124/1991, “Unity Gain and Impedance Matching: Strange Bedfellows”
Traduzione e adattamento: Vincenzo Ferrara, AES Member

RIFERIMENTI
T. Hay, “Differential Technology in Recording Consoles and the Impact of Transformerless Circuitry on Grounding Technique”, presented at the 67th Convention of the Audio Engineering Society, J. Audio Eng. Soc. (Abstracts), vol. 28, p. 924 (Dec. 1980).

Analog Devices, “SSM-2142 Balanced Line Driver”, Audio/Video Reference Manual, pp. 7-139 (Analog Devices, Norwood, MA, 1992).